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La società dell’ignoranza

Nella filiera dell’innovazione e della conoscenza l’humus sociale apparentemente aperto e collaborativo, di fatto è totalmente impermeabile e chiuso. E come tutti i sistemi chiusi è destinato a morire!

I rapporti reali tra gli attori risultano tanto più collaborativi quanto più elevata è la “stoffa”, “la cultura” del singolo interlocutore. Tendenzialmente però i rapporti risultano sterili e spesso caratterizzati da:

  • gelosia rispetto alle proprie conoscenze, che di fatto nasconde l’incapacità di distinguere quali siano le competenze da tenere proprietarie e riservate, rispetto a competenze relazionali e di collaborazione, che laddove condivise creano effetti sinergici;
  • dialogo volutamente fondato su un eccesso di neologismi e anglicismi vuoti di significato, e spesso utilizzati strumentalmente allo scopo di mascherare con il marketing e con la narrativa i reali obiettivi;
  • riunioni dove si spendono fiumi di parole che non portano a conclusioni o conseguenze fattive;
  • assenza di galateo istituzionale tra comparti differenti: la politica, le istituzioni accademiche, le imprese hanno tutti un loro galateo, che deve essere rispettato per poter instaurare un rapporto di fiducia e di collaborazione.

È opinione comune, che il legittimo interesse al raggiungimento dei propri obiettivi mal si possa conciliare con l’interesse alla collaborazione, all’apertura delle organizzazioni. Ma l’apertura, che non è sinonimo di beneficienza ma di intelligenza, oramai costituisce elemento strutturante della società, e la sua assenza rischia di minare l’esistenza stessa delle organizzazioni.

La società è concentrata esclusivamente sull’asset “risorse finanziarie”, dimenticando che solo il “capitale umano” è l’unico asset veramente in grado di creare progresso. Il collo di bottiglia al processo di ricostruzione sarà determinato dall’assenza di valori e di capitale umano, non dall’assenza di risorse finanziarie.

Pur non essendosi totalmente smarrito, è molto sopito il concetto di rischio/investimento per sé, per le generazioni future e di conseguenza per la società. Un investimento di impegno, di apprendimento, di crescita, di soluzione di problemi, che talvolta non richiede neppure “risorse finanziarie”, ma sacrificio, responsabilità e lavoro!

L’eccesso di opportunismo è un’altra criticità. Nel breve periodo l’opportunismo può anche essere considerato manifestazione di intelligenza umana, laddove consente di massimizzare il risultato con il minimo sforzo. Tuttavia un approccio sistematico alla soluzione di problemi basato su opportunismo risulta parassitario, dapprima per il singolo e poi per la specie. L’opportunismo viene oggi coltivato ed elevato a rango di virtù da parte del main stream. Ma l’impegno, il sacrificio, l’investimento vero, lo sviluppo di competenze ed infine il progresso di lungo periodo non si possono fondare sull’opportunismo, che alla lunga genera ignoranza. L’ignoranza genera chiusura, la chiusura genera stasi.

Questo è il punto in cui siamo, grazie a chi ha diffuso nella società i disvalori, “le strutture del peccato” (Giovanni Paolo II).

Al momento la società della conoscenza è tutta da creare, per ora è da considerarsi la società dell’ignoranza.

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