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Personalità liquide

Prima delle competenze lavorative occorre riflettere sulla struttura di personalità sia dei giovani che dei meno giovani. In famiglia, ma oramai anche nelle organizzazioni e nella società non esiste più il ruolo del padre che è il confronto con la regola, con i diritti ma anche con i doveri, con la libertà ma anche con la responsabilità. La figura che ti espone progressivamente ad un rischio controllato. Il padre è lo strumento per lo sviluppo di una personalità indipendente.

Molti giovani hanno una struttura di personalità dipendente e destrutturata. Anche nella scuola e nella formazione si relazionano con docenti-mamme che li accudiscono senza orientarli al rischio, senza responsabilizzarli, senza motivarli.

Una siffatta personalità non è adeguata ad un rapporto lavorativo maturo. Molti tendono a comportarsi nei confronti del “capo” come figli, come studenti, perché così gli è stato insegnato.

Anche le organizzazioni (scuola, aziende), purtroppo, talvolta sostengono un rapporto materno, dipendente e disfunzionale. A qualsiasi livello occorre garantire una netta separazione tra il momento dell’accudimento materno e il momento della esperienza-responsabilizzazione, a cui deve corrispondere un feedback paterno, che dia il senso del limite e del valore.

Occorre attivare meccanismi di formazione/responsabilizzazione che creino strutture di personalità autonome e mature, e non solo conoscenze. La struttura di personalità si genera in relazione al grado di responsabilizzazione a cui il discente viene esposto. Il livello di responsabilizzazione/ricompensa/rischio deve essere tanto più alto quanto più il discente matura, sino ad arrivare alle scelte di carriera o di fare impresa.

L’assenza di momenti di verifica sta portando a strutture di personalità che non sono in grado di auto-giudicarsi, di valutare sé stessi in relazione ai compiti da assumere, e di mettere in atto quelle azioni – di auto-formazione, di riflessione – necessarie a migliorarsi.

Troppa enfasi viene data alle competenze tecnologiche, al potere della innovazione tecnologica per il superamento della crisi, ai miti della intelligenza artificiale, ma si sta trascurando l’unico asset su cui vale la pena investire: l’essere umano. Uno spot pubblicitario recita: “investiamo nella tecnologia più evoluta che esista: l’uomo”. È auspicabile che si passi dalle parole ai fatti.

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