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Tutti pazzi per l’Unicorno!

Le incertezze di mercato, la crisi economica indotta dal COVID, costringono ad un ripensamento radicale dei modelli di supporto allo sviluppo di impresa. Il modello di Startup inteso come gruppo di giovani nel garage, che con scarsi investimenti, buone idee e lavoro sottopagato, sviluppano un prodotto di successo, in grado di scalare i mercati, garantendo un ritorno rapido agli investitori grazie alle exit, è un modello di nicchia, tendenzialmente fallimentare se applicato allo sviluppo di impresa e del territorio in generale.

Anche guardando agli esempi “storici” di Startup di successo della Silicon Valley, occorre chiedersi quali siano gli assets di impresa che hanno consentito lo sviluppo di quelle realtà, Il vero asset era il prodotto o l’organizzazione di impresa? Il vero asset di Apple non è stato il Mac, piuttosto che l’ipod, ma un imprenditore che aveva una visione, che ha saputo diffondere una cultura di impresa, una cultura di rispetto del cliente, di qualità del prodotto, che ha saputo stimolare con l’esempio un ambiente collaborativo, in altre parole un imprenditore che ha saputo creare una intelligenza collettiva.

Se si vuole creare sviluppo occorre cambiare approccio, creare valore stabile rappresentato dall’assets umano e dall’organizzazione.

Servono strutture (integratori) che prendano in carico il problema complessivo, sotto tutti i punti di vista. Il problema dello sviluppo del territorio è quello di creare “organizzazioni” che siano autosufficienti (Enti del terzo settore, PA, imprese). Il percorso di accompagnamento delle Startup non può essere frammentato in iniziative disgiunte, pre-incubazione, incubazione, accelerazione, né può essere focalizzato sullo sviluppo prodotto. Il percorso di integrazione deve essere centrato sullo sviluppo di “nuova imprenditoria”, in grado di usare lo sviluppo prodotto come mezzo per il raggiungimento dello scopo. Il vero asset che la società deve coltivare è l’organizzazione di impresa e l’organizzazione sociale.

Il supporto alla creazione di impresa deve estendersi a tutte le fasi dello sviluppo tecnologico, e particolarmente alle fasi critiche (death valley), ma deve anche considerare la possibilità di “ricircolare” le risorse umane a seguito di crisi di mercato (reskilling, reinserimento all’interno di organizzazioni esistenti), per garantire il mantenimento del patrimonio umano sul territorio.

Le organizzazioni garantiscono la resilienza stessa del territorio rispetto agli shock esogeni, in quanto possono recuperare assets umani che altrimenti andrebbero dispersi. Mantenere lo stock organizzativo/umano minimo, necessario al funzionamento del territorio (long-term approach) è esiziale per il sistema territoriale, laddove l’approccio quick-scaling è funzionale solo alla minimizzazione del rischio degli investitori, che viene scaricato sul sistema sociale.

Il vano tentativo di scaricare all’esterno il rischio, non può generare sviluppo. L’unico modo di gestire il rischio è quello di bilanciarlo e ridistribuirlo su chi può reggerlo, al fine di ottenere come risultato una “sopravvivenza sistemica”.

Creare impresa significa in primis favorire la contaminazione tra risorse umane e “maestri”, favorire processi di assorbimento, strutturare personalità dei singoli e delle organizzazioni, non solo sviluppare prodotti. Un’organizzazione che si fonda su una “scuola” è in grado di riciclarsi in nuovi settori, sostenere l’innovazione di prodotto, assorbire innovazioni di mercato e tecnologiche, apprendere le lezioni che derivano dagli errori, per evitarli in futuro.

Il cambio di paradigma, dal prodotto all’organizzazione, può sviluppare e attrarre talenti senza grandi sforzi. Il ruolo di un integratore è quello del “maestro”, di colui che indica come organizzare i fattori produttivi. Sarà tautologico, ma per fare sviluppo di impresa servono imprenditori!

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